NORMA

Di Vincenzo Bellini – libretto di Felice Romani
Una produzione Arena Sferisterio di Macerata e Teatro Massimo di Palermo
Prima rappresentazione: 29/07/2016 Teatro Sociale, Bergamo

 

REGIA Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi

SCENOGRAFIA Federica Parolini

LUCI Luigi Biondi

COSTUMI Daniela Cernigliaro

ASSISTENTI ALLA REGIA Luca Mazzei e Federico Vazzola

ASSISTENTE SCENOGRAFIA Eleonora De Leo

ASSISTENTE COSTUMI Agnese Rabatti

INTERPRETI
SFERISTERIO DI MACERATA
Direttore Michele Gamba
Norma Maria Josè Siri
Pollione Rubens Pellizzari
Oroveso Nicola Ulivieri
Adalgisa Sonia Ganassi
Clotilde Rosanna Lo Greco
Flavio Manuel Pierattelli

TEATRO MASSIMO DI PALERMO
Direttore Gabriele Ferro
Norma Mariella Devìa, Yolanda Auyanet
Adalgisa Carmela Remigio, Marina De Liso
Pollione John Osborn, Rubens Pelizzari
Oroveso Luca Tittoto, Evgeny Stavinsky
Clotilde Maria Mirò
Flavio Manuel Pierattelli

“C’è chi nasce con una particolare esigenza: essere fuori dal mondo, non rispondere a tutte le leggi che governano la società. Egli scopre lentamente che qualunque affetto gli è proibito e inizialmente si sente condannato. Quando hai capito questo, però, sei salvo, quando hai capito che non essere di qualcuno è essere universali, essere più vasti, allora è la felicità”.

Sono parole di Maria Lai, l’artista sarda che ci è apparsa tra centinaia d’immagini, oggetti, persone, luoghi e nomi del nostro tavolo di lavoro con il gruppo creativo che avrebbe dato vita a questa Norma mediterranea e ancestrale. Daniela Cernigliaro ci mostra l’opera intitolata “Fuga dal mondo” ed è palese che a crearla è come fosse stata Norma stessa, approfittando di tutta la sua arte di sacerdotessa-tessitrice per elaborare una mappa stellare che l’avrebbe guidata dritta verso il suo obiettivo: fuggire dal mondo, per l’appunto.

Il personaggio sta delineandosi, fare luce su di lei significa scoprire tutti gli altri man mano, e con i personaggi le motivazioni e le intenzioni che li fanno vivere.  La nostra Norma con “Fuga dal mondo” ci ha appena rivelato di vivere in un pianeta cui sente di non appartenere più. Del resto la sacerdotessa è preda della Numis, quella rara caratteristica innata che ti costringe a vivere una vita amplificata, che ti fa beneficiare di sensi ben più sottili di quelli conosciuti rendendoti visionario. Norma, infatti, si proietta oltre la foresta e le sue reti, oltre la legge sociale di cui pure è detentrice, ed è proprio da lì che vorrebbe ma non riesce a fuggire, o per lo meno non fino ad oggi.

È questa la trama del suo telaio, una storia che via via assume le sembianze di un’opera perfetta, una ragnatela in cui lei stessa cuce giornalmente su misura una felicità ideale che alla fine le sarà fatale, una vita intrecciata anno dopo anno, oracolo dopo oracolo, menzogna dopo menzogna e ovviamente Luna dopo Luna.

Non è quindi la prima volta che Norma si rivolge alla Luna. Federica Parolini fa prendere a questa foresta la forma di riti stratificati nel tempo, lune una volta accese che sembrano non parlare più ma che mantengono il ricordo minaccioso dei vulcani spenti. Anche oggi come in tutti i riti precedenti, l’intero popolo si fa cerimoniere. Siamo nel pieno di un’azione che prevede l’atto in diretta di una tessitura collettiva, un rituale magico in cui Norma tesse mondi cosmici e li unisce a quelli umani rivelando la sua aspirazione all’infinito, la stessa che si prova ad esempio, in “Legarsi alla montagna”, atto performativo in cui Maria Lai fa legare agli stessi abitanti le case di un intero paese a una montagna. Anche Norma si serve del suo popolo, rendendolo però, al contrario, non complice di un’unione ma dell’avverso destino che non li vuole liberi. Per questo non potrebbe esserci Norma senza questo popolo che lei manipola a suo piacimento, perché ogni menzogna scuote la sua anima e le fa credere di essere ancora viva, crea dramma e di conseguenza drammaturgia.

Il coro è, di fatto, per noi il coprotagonista assoluto e Bellini, infatti, con “Guerra, guerra” gli regala uno dei momenti tra i più stranianti dell’opera. Da esso Norma appare senza che nessuno l’abbia vista arrivare, in esso s’ingloba, lo sposta, lo muove, ne è fagocitata e risputata fuori. In esso sono racchiusi le virtù e i vizi di tutti i popoli, la meravigliosa aspirazione alla dignità di razza come la stupida cocciutaggine della massa, l’ineluttabile necessità di demandare la propria vita a un leader e la legittima aspirazione a vivere in una società liberata e libera.

Norma, come la Luna, esercita un potere sugli uomini e sulle loro vite. Mostra al suo popolo una faccia sola ma ne possiede a decine, tutte restituite dalla musica di Bellini le cui note risuonano in ogni anfratto del suo corpo creando accostamenti azzardati e per questo geniali. Ecco che se ci rimpicciolissimo, vedremmo l’enorme e fitta foresta di reti che separa un mondo da un altro, incute timore e soffoca i raggi di sole, ma che fa sentire inattaccabili e protetti. Allo stesso modo, ecco, che se ci ingrandissimo, vedremmo le stesse reti ridursi a fibre nervose, a membrane muscolari e ci accorgeremmo di essere contemporaneamente dentro e fuori di Norma, di potere ascoltare dall’esterno la gelida sacerdotessa ma di entrare in contatto con i suoi pensieri più intimi. Le luci di Luigi Biondi ci conducono in questo viaggio continuo fra macro e micro mentre la protagonista ci guida passo passo mostrandosi senza pudore alle sole persone da cui non si sente giudicata, noi. Aria dopo aria, a parte dopo a parte, mentre la ragnatela attorno a lei s’infittisce, ne dipana contemporaneamente la matassa davanti al suo pubblico. Lo spettatore è il suo confidente, la sua guida, la sua coscienza. Dinanzi al suo popolo deve apparire grande e invincibile ma solo davanti a noi può ridursi a un minuscolo puntino di luce.

Che giorno è oggi? Perché la storia è mostrata al pubblico proprio in questo istante? Perché oggi Norma comprenderà che il suo destino pretende che lei sia una donna libera, “non di qualcuno e per questo universale”. Oggi Norma capisce, da eroina tragica qual è, che la morte non è una condanna, ma l’atto finale di quel lungo sacrificio che è stata la propria vita e che finalmente la porterà alla felicità tanto desiderata. Non si sente più condannata alla legge degli uomini, lei stessa, infatti, si è già salvata, permettendosi di amare e mettendo alla luce dei figli, testimonianza vivente che da ogni angolo stretto di mondo si può fuggire e che tra i vari mondi possibili non ci sono confini o reti che tengano.

Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi

ENG
“Some people are born with a special need: to live outside the world and not answer to all the laws governing society. That person will slowly discover that all affection is barred him or her and will initially feel condemned. However, when you have understood this, you’re free because if you belong to no-one then you are universal, and being universal brings happiness”. These are the words of Maria Lai a Sardinian artist which, among the hundreds of images, objects, people, names and places coming out of our work group and creative pool, have inspired this ancestral mediterranean Norma. As Daniela Cernigliaro shows us the work entitled “Flight from the world”, it’s immediately apparent that Norma – making the most of her craft as a weaver-priestess, – has actually created it herself, an elaborate map of the stars to guide her straight to her goal – flight from the world. Norma has just shown us that she lives on a planet to which she no longer belongs . She projects herself beyond the forest with its network of traps, beyond the social law which would govern her. Her unconscious act of freedom are the children whom she has generated, living witnesses to the fact that flight is possible from the world’s every narrow corner and that no borders or trap-like networks can stand against all the worlds which are possible. Before reaching this awareness, out of her loom’s thread she weaves a web of made to measure happiness which in the end will prove fatal, a life woven year after year, oracle upon oracle, lie after lie and obviously Moon upon Moon. It’s not the first time that Norma turns to the Moon. Federica Parolina makes this forest take on the form of rites stratified through time, moons once burning but now silent which conserve the threatening memory of dead vulcanoes. Even today, as in all rites of the past, the whole people lead the ceremony. We are right in the middle of a scene which calls for a direct action of collective weaving, a magic rite through which Norma weaves cosmic and human worlds together. She thus reveals her aspiration for the infinite, exactly like the Maria Lai’s performance in which she ties the houses of a mountain village to the chorus of its inhabitants. For us, indeed, the chorus is absolute co-lead. Out of it Norma appears without anyone having seen her arrive, she merges with it, animates it and moves it along. She is absorbed by it and expelled from it just like the Moon exerts power over humankind and its lives. She shows only one face to her people even if she has dozens of them all of which appear in Bellini’s score. If we become smaller, we see the great thick forest-like network of traps which both protects and frightens us. If we become bigger, the same networks are reduced to fibrous nerves, musculour membranes and we realize that we are both on the inside and the outside of Norma, externally able to hear the icy priestess just as we are in touch with her most intimate thoughts. Luigi Bondi’s lighting leads us to and fro between macro e micro while the main character guides us step by step, as she boldy reveals herself to those who will not judge and condemn her i.e. us. The spectactor is her confidant, her guide and her conscience. She must appear great and invincible before her own people but for us she becomes a tiny speck of light. Why do we show this story to the public precisely now? Because Norma tragic heroine that she is, understands that death is not a condemnation but the final act of a long life of sacrifice which – through the flames – will finally lead her to the happiness she has so longed for.

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